Le tre potenze discografiche mondiali Universal Music Group, Warner Music Group e Sony Music Entertainment stanno segretamente negoziando accordi di licenza con le stesse piattaforme di intelligenza artificiale che hanno trascinato in tribunale meno di un anno fa per violazione del copyright. Bloomberg rivela che i colossi musicali stanno corteggiando Suno e Udio, i generatori di musica artificiale finiti nel mirino delle major per aver “rubacchiato” le loro registrazioni senza permesso. Il cambio di rotta è tanto repentino quanto imbarazzante: dalle denunce per pirateria digitale alle trattative per spartirsi la torta dell’IA musicale. Le fonti anonime parlano di richieste di compensi di licenza più piccole quote azionarie in entrambe le startup, una mossa che puzza lontano un miglio di opportunismo travestito da pragmatismo. I dirigenti delle case discografiche, che solo dodici mesi fa tuonavano contro “l’appropriazione indebita della creatività umana”, ora sembrano aver fiutato l’affare del secolo. Del resto, se non puoi batterli, fatteli soci. Le discussioni potrebbero saltare da un momento all’altro, precisano le fonti, segno che anche i piani più cinici possono naufragare quando si tratta di dividersi i profitti. Suno e Udio permettono agli utenti di generare brani musicali completi semplicemente digitando descrizioni testuali, trasformando chiunque in un compositore virtuale senza bisogno di talento, strumenti o anni di gavetta. Proprio questa facilità aveva scatenato l’ira delle major, che nel giugno 2024 avevano citato in giudizio le due startup accusandole di aver addestrato i loro algoritmi utilizzando milioni di registrazioni protette da copyright senza autorizzazione. Una pratica che le stesse aziende avevano sostanzialmente ammesso nei documenti processuali di agosto, con la disinvoltura di chi sa di essere nel torto ma conta sulla protezione del “fair use”. Le cause legali dipingevano un quadro apocalittico per l’industria musicale, con le major che sostenevano come “le aziende di IA, come tutte le altre imprese, devono rispettare le leggi che proteggono la creatività e l’ingegno umano” e che “non esiste nulla che esenti la tecnologia IA dalla legge sul copyright”. Parole al vento, evidentemente, se oggi gli stessi dirigenti sono seduti al tavolo delle trattative con i presunti pirati digitali. Suno e Udio hanno sempre rivendicato la legittimità del loro operato nascondendosi dietro l’eccezione del “fair use” prevista dalla legislazione americana sul copyright, un escamotage legale che consente l’utilizzo limitato di materiale protetto per scopi di ricerca, critica o parodia.
Ma generare musica in serie per utenti commerciali difficilmente rientra in queste categorie, rendendo la loro posizione traballante quanto un castello di carte. Bloomberg mette in luce la complessità di queste trattative che sembrano più un braccio di ferro tra gladiatori digitali che una negoziazione tra gentiluomini. Da una parte le case discografiche pretendono “maggiore controllo sull’uso delle loro opere”, dall’altra le piattaforme di IA rivendicano “flessibilità per sperimentare” e accordi economicamente sostenibili per startup che, nonostante le cause legali, continuano ad attirare investimenti a palate. Il silenzio assordante di tutti i protagonisti la dice lunga sulla delicatezza della questione: Udio e Suno non hanno risposto alle richieste di commento di Bloomberg, mentre le tre major si sono trincerate dietro un elegante “no comment” che suona come un “ne riparliamo quando avremo firmato”. I numeri parlano chiaro sulle posta in gioco: Suno ha raccolto 125 milioni di dollari da investitori del calibro di Lightspeed Venture Partners, raggiungendo una valutazione di 500 milioni per una startup con sede nel Massachusetts che trasforma parole in melodie. Udio, più modesta ma altrettanto ambiziosa, si è accontentata di 10 milioni da Andreessen Horowitz e altri finanziatori, dimostrando che gli investitori scommettono sull’IA musicale nonostante i processi in corso. Queste trattative ricalcano la strategia già adottata da OpenAI, sviluppatore di ChatGPT, che ha siglato accordi di licenza con colossi dell’informazione come News Corp., Associated Press e Vox Media, trasformando potenziali nemici in alleati paganti. L’eventuale accordo segnerebbe una svolta epocale nel rapporto tra industria musicale tradizionale e intelligenza artificiale, trasformando nemici giurati in partner d’affari. Un matrimonio di convenienza che sa tanto di resa incondizionata delle major di fronte all’inevitabile rivoluzione tecnologica. Resta da vedere se i musicisti in carne e ossa apprezzeranno questo abbraccio tra i loro sfruttatori storici e i loro potenziali sostituti digitali.